Gill Lapis - La storia di Reiya
Antonio Di Lorenzo
Gill Lapis
(La storia di Reiya)
Il ragazzo dai capelli argentei aprì gli occhi, disturbato dal suono di un qualche oggetto trascinato per la stanza intorno a lui. Un vassoio di cibo fu poggiato sul tavolo accanto a lui, al che lui reagì di scatto afferrando la mano che lo sorregge.
Il proprietario della mano emise un grido terrorizzato, e solo allora il ragazzo notò le catene strette ai suoi polsi. Guardò in alto, e vide il volto di una ragazzina. “Che sia…?” ponderò tra sé e sé.
“Come ti chiami? Sei una schiava?”
“Ah… uhm… s-sì, signore.” Dal modo in cui esitava, pareva che non le fosse mai stato dato il permesso di parlare. “Mio n-nome… Sy-Sylvia.”
“Sylvia? Che bel nome.”
“Uh… grazie.”
Sylvia arrossì e chinò la testa, per poi lasciare in fretta la camera. Il giovane si guardò intorno e notò che c’era un altro uomo, lì con lui. Indossava ciò che sembrava essere una toga da accademico. Un ricercatore, forse? Sembrava familiare, ma per quanto cercasse di ricordare il suo nome non riusciva a rammentarlo.
“Lo sento, è nei miei ricordi,” pensò, “ma non riesco a trovarlo.”
L’uomo distolse lo sguardo dal pavimento, rivolgendolo verso di lui.
“Per quanto tempo ho dormito?” gli chiese il giovane, incerto del perché stesse formulando una simile domanda.
“Quasi tre giorni. Ricordi il tuo nome?”
“Il mio nome? Oh… il mio nome… uhm…” mormorò il ragazzo, cercando disperatamente di ricordare.
“Gill Lapis, forse?” intervenne pacatamente l’uomo, evidentemente cercando di sprecare meno tempo possibile.
“Giusto. Gill Lapis. È questo, il mio nome.” I ricordi cominciarono ad affollarsi nella sua mente, ritornando dall’oblio in cui sembravano essere stati confinati fino a quel momento. “Mio padre è Gill Alhama’at, e questo mondo è… distrutto.”
L’uomo annuì. “Corretto.”
“Dov’è lui?” chiese Lapis. “Dov’è mio padre?”
“Partito per una nuova ricerca.”
“In questo mondo non è rimasto niente,” ribattè Lapis con una punta di curiosità. “Cosa mai potrà ricercare, in questo mucchio di ceneri?”
“Non so cosa avesse in mente. So solo che è andato via con uno sei Sette Astri.”
Prima che potesse dire altro, Lapis recuperò finalmente i ricordi del suo interlocutore. Era Alisaris, il mago studioso del tempo. Subito un quesito emerse dalla mente di Lapis. “Alisaris, tu fai ricerche sul tempo, giusto? C’è un modo per tornare indietro?”
Alisaris sembrò tentennare, a quella domanda, ma fu rapido a ricomporsi. “Impossibile. Sebbene si possa riprodurre la materia a partire dai suoi ricordi, portandola dal passato al tempo presente, e nonostante sia anche possibile fare uso delle creazioni così ottenute per influenzare il futuro, è del tutto inconcepibile che qualcuno possa percorrere il tempo a ritroso. A prescindere dai cambiamenti apportati, senza un futuro a cui fare ritorno si finirebbe alla deriva nel…”
“Dunque non è possibile,” lo interruppe Lapis. “Non è possibile cambiare la storia.”
“Sì. Ma è teoricamente possibile creare un nuovo futuro, se si riproducesse il passato. Se il concetto di tempo rappresenta la sequenza degli eventi, allora ricreando tali eventi usando l’essenza del passato si riprodurrebbero gli effetti di un ritorno al passato. Semplicemente, quando accaduto nel “vero” passato accadrebbe in un mondo diverso, una tasca dimensionale. Tuttavia richiederebbe un potere magico talmente vasto da essere inimmaginabile, e un singolo errore potrebbe portare alla distruzione non solo della dimensione artificiale, ma del mondo stesso.”
“Sarebbe possibile, con il potere di un dio?”
“Beh…” mormorò Alisaris. “Suppongo che se le teorie riguardanti gli esseri divini si dimostrassero veritiere, allora sarebbe possibile. Ciononostante, non v’è ragione di credere all’esistenza di questi “Dèi”.”
Lapis sentì un dolore terribile lacerargli il petto: un ricordo, ma di un passato mai accaduto. Un dolore fantasma. Mentre tentava di riprendersi da quella fitta, sentì una voce che urlava in lontananza.
“Fatemi uscire da qui! Non potete mettere il Grande Ladro Blazer in una maledetta cella! Giurò che me ne andrò da questo posto, e allora…”
“Chi è?” chiese a Lapis, tentando di nascondere ad Alisaris il proprio dolore.
“Un bandito in custodia, pare. È intento di lord Alhama’at lasciarlo in vita, ma non sono certo del perché.”
“Oh, andiamo!” continuava il petulante prigioniero. “Non c’è comunque niente da rubare, in questa discarica! Che senso ha un ladro in gabbia, se non c’è più un mondo da saccheggiare?”
Quel misterioso dolore si stava espandendo rapidamente nel corpo di Lapis. Sembrava che il buco nella sua memoria si stesse allargando, divorando le sue carni.
“Aspetta… se ho un padre, allora chi è mia madre? Non ricordo. Ricordo il passato, ma non le cose importanti. O meglio, non è che non le ricordi, ma è come se fossero state…” all’improvviso, un’illuminazione lo colpì. Preso nel bagliore di quell’epifania, Lapis non riuscì più a controllare il lancinante dolore che ormai lo prendeva da capo a piedi, e crollò a terra con un sussulto.
“Lapis!” esclamò Alisaris, affrettandosi a soccorrerlo e inginocchiandosi accanto a lui. “Cos’è successo?”
“Alisaris… posso chiederti una cosa?”
“Qualunque cosa.”
“Da quanti giorni esisto, io?”
Alisaris si irrigidì, e la sua espressione si riempì di rassegnata delusione. “Lo hai notato. Bizzarro. Non dovrebbero esserci simili elementi.” Quelle parole sembravano rivolte a se stesso, più che a Lapis. Si alzò in piedi con un movimento quasi meccanico. “Pare che l’anima che abbiamo utilizzato non fosse valida, dopotutto. Ora, ti prego di capire che quanto sta per accadere non dipende da me. Mi sono state date istruzioni di sbarazzarmi degli esemplari difettosi.”
Con glaciale freddezza, Alisaris estrasse un coltello dall’ampia manica della sua toga. Lapis tentò di allontanarsi, ma in quel momento si accorse di non essere capace di muoversi liberamente, e un sigillo luminoso si manifestò sul suo corpo.
“Il sigillo di lord Alhama’at. Non opporti. Non puoi liberarti.”
Il coltello scattò contro il petto del ragazzo. Lapis chiuse gli occhi, ma il dolore che attendeva non arrivò. Piuttosto, udì un grido acuto e disperato, di una voce in qualche modo familiare, e non appena aprì gli occhi vide una scena quanto mai inaspettata.
Il coltello si era conficcato nel petto di Sylvia. Si era frapposta tra i due all’ultimo momento, dopo averli osservati di nascosto per tutta la durata di quella conversazione, e ora stava trattenendo il manico dello strumento per impedire al suo aggressore di sfilarlo dal suo corpo.
“Maledetta schiava, perché interferisci nel nostro lavoro?” esclamò sprezzante Alisaris, volgendosi al tavolo da lavoro per trovare una nuova arma.
“Mi-milord Lapis…” mormorò con un filo di voce Sylvia. “Tu dice, mio nome bello. Prima volta, io fe…li…ce…”
La ragazza perse conoscenza per la copiosa emorragia, accasciandosi fra le braccia di Lapis. Un’ondata di rabbia montò nel cuore del giovane, e in un attimo il vincolo che lo teneva fermo si dissolse lasciandolo nuovamente libero di muoversi.
“…buona notte, Sylvia.” sussurrò, adagiando il suo corpo esanime sul freddo pavimento di legno.
Quando si erse in piedi, Lapis sentì qualcosa di nuovo agitarsi nel suo corpo. Era come se un’anima morente si era ridestata, infrangendo il sigillo che Alhama’at aveva imposto su di lui. Alisaris, stretto al tavolo, tremava di terrore. Fissava Lapis nei suoi occhi neri come la notte, tanto soverchiato dal potere grezzo che emanava dal ragazzo da non riuscire nemmeno a respirare.
“Alisaris,” ordinò freddamente Lapis. “Obbediscimi.”
Realizzando che non poteva opporsi a tale comando, Alisaris tentò di stare dritto sulle gambe, e non riuscendo ancora a parlare si limitò ad annuire.
“Quando mio padre ritornerà, noi trasferiremo questa nazione verso il futuro. Possiamo farlo, Alisaris, vero?”
“Sì. Con il potere ora in tuo possesso, dovrebbe essere possibile.”
“Va e prepara il necessario, allora.”
Mentre Alisaris si affrettava a obbedire, Lapis afferrò una pietra magica dal piccolo tavolo da lavoro e si voltò verso il corpo di Sylvia. Le si inginocchiò a fianco, sorridendo dolcemente alla ragazza che lo aveva salvato. Mentre le accarezzava morbidamente la testa, il suo corpicino fu assorbito dalla pietra in forma di Memoria.
“Ora potrai vivere dentro di me,” disse Lapis mentre la sua salvatrice scompariva nel nulla.
Poco tempo dopo, al ritorno di Alhama’at, Altea si dissolse nel tempo e nello spazio. Mentre la magia di Alisaris li muoveva, Lapis aprì la cella di Blazer.
“Ehi, moccioso,” esclamò il ladro, troppo orgoglioso per ringraziarlo. “Ti sembra che ti abbia chiesto aiuto?”
Lapis lo ignorò e continuò a camminare. Non c’era alcun motivo per lasciarlo in vita, ma pur non rappresentando una forza realmente decisiva, Lapis era convinto che Blazer avrebbe rappresentato un’eccellente pedina sacrificale in caso di necessità.
“E adesso, Lapis?” chiese Alisaris, affiancando il suo nuovo padrone.
“Devo sapere chi sono, e mi serve altro potere per scoprirlo. Dopodiché, con quel potere,” concluse il giovane, stringendo i pugni in un disperato moto di odio, “ucciderò mio padre.”
“Non serve.”
Una voce scaturì dal nulla, e mentre Lapis cercava di identificarne la fonte vide una donna dall’incarnato grigiastro emergere dalle ombre. Reiya era lì, la spada sguainata e pronta a colpire.
“Che creatura bizzarra,” commentò Alisaris, per nulla turbato. “Non ho mai visto nessuno di simile a te, prima d’ora. Non sei di questo mondo?”
“Magari la cosa non ti sorprenderà, mago, ma vengo dal futuro.”
“Cos…? Ma questo significa…!”
“Esatto.”
“Quindi questo è un passato artificiale,” intervenne Lapis. “Una messa in scena di cose già state.”
“Credimi, mi piacerebbe molto parlare di queste amenità, ma non abbiamo molto tempo, quindi sarò breve. Ho bisogno che tu ti lasci uccidere.”
Lapis non si oppose; in qualche modo sembrava aver compreso il senso della richiesta della sua ospite. “Se è così suppongo di non avere tempo a mia volta, ma vorrei chiederti: cosa sta accadendo al “me” del futuro? Perché devo morire?”
“Morirai comunque. Sei un corpo creato come ricettacolo per Alhama’at, ma un corpo muore se non c’è un’anima al suo interno. Perciò, un’anima potente è stata richiamata da un altro mondo, ma qualcosa non ha funzionato. Era l’anima di Ragnarok, un Dio da un mondo molto distante da questo. Forse ciò è accaduto perché Ragnarok stava impedendo che il suo “altro sé” distruggesse il suo stesso mondo, ma ad ogni modo l’anima ha conservato il suo potere originale anche dopo essergli stata strappata. Una volta che essa si è impiantata nel tuo corpo insieme ai falsi ricordi progettati da Alhama’at, tu hai cercato istintivamente il potere dentro di sé, e l’hai trovato in ciò che rimaneva di Ragnarok. Nella “vera” storia, tu hai distrutto molte dimensioni esterne al tuo mondo, da questa fortezza. Tuttavia, il corpo che Ragnarok aveva tentato di imprigionare per così tanto tempo ha distrutto questo mondo mentre tu eri lontano, e il suo potere è stato diviso dopo la sua sconfitta ad opera di cinque guerrieri. Sei entrato in contatto con mio padre, uno di quei cinque, e hai capito di non essere in grado di ospitare il potere di Ragnarok dentro di te; ma hai pensato che tornando al passato e trovando la sua anima, avresti potuto riunirla al tuo corpo e ottenere finalmente il potere necessario. Ti ci sono voluti diecimila anni per sconfiggere Alhama’at, ma alla fine sei caduto prima di poter ottenere ciò che ti serviva per controllare Ragnarok. Ora, però, qualcun altro ha ricreato il tempo, allo scopo di ottenere il vero potere di Ragnarok e usarlo.”
“Quindi vogliono ricreare il passato,” disse Lapis. “Ma se io stesso non posso controllarlo, non possono farlo nemmeno loro, giusto?”
“Esatto. Quell’essere mostruoso continua a divorare il passato che lei stessa crea, e ciò che consuma diventa ulteriore potere. Non posso lasciare che voi due vi incontriate.”
Un frastuono dal fondo del corridoio li interruppe: “Ehi, che razza di… no, no, giù le mani, GAAAAAHHHHHH!”
Era Blazer. Lapis si voltò verso Reiya, ma lei non sembrava essere stata turbata dall’evento. “Sono arrivati. Servitori, incaricati di fermarmi. Consumeranno anche te se non ti lasci uccidere.”
Solo allora Lapis comprese il potere di quel visitatore dal futuro: l’oscurità dell’abisso. Era lei il “personaggio” per cui esisteva quel falso mondo, la protagonista, e in quando tale non poteva essere sconfitta. C’era una sola possibilità, per lui.
“Va bene,” esclamò. “Ti affido il mio potere, il potere dell’anima che riposa in me. Ma prima, promettimi questo.”
Lapis gettò a Reiya la pietra in cui aveva racchiuso l’essenza di Sylvia. La vampira non sembrò sorpresa, come se avesse vissuto quella scena più e più volte. “Tienila al sicuro. Un giorno la riporterò indietro.”
“Hai la mia parola,” giurò Reiya, sollevando la spada sopra la propria testa.
“Alisaris, suppongo che a te vada bene.” concluse Lapis, con un tono stranamente accorato.
“Naturalmente. Non ci sono altre opzioni. E per di più, questi avvenimenti rappresenteranno ottimo materiale per i miei studi futuri.”
Lapis chiuse gli occhi mentre la lama di Luna Minacciosa affondava nel suo collo. La spada scintillò di nero per qualche istante, assorbendo il suo potere, ma anche così Reiya sentì di non essere ancora pronta a fermare Kaguya. Quella vittoria, però, accese in lei la speranza. Doveva continuare a combattere, fino a quando l’ora promessa non fosse giunta. Svanì nuovamente nell’oscurità, dirigendosi verso il prossimo mondo, e mentre la sua coscienza si disperdeva tra i piani, riuscì a udire le imprecazioni di Scarlet nello scoprire il corpo senza vita di Lapis, prova del suo fallimento.
Quella che avete appena letto è la traduzione dell'episodio 83 di FoW World - Gill Lapis (Reiya's Story), parte della trama del Reiya Cluster (4th) - Winds of the Ominous Moon. Tutte le storie, in inglese, possono essere lette all'indirizzo http://www.fowtcg.com/strories.
Facebook: "https://www.facebook.com/FOWForceOfWillI/"
Instagram: "force_of_will_italy"
You Tube: "https://www.youtube.com/c/Fowtcgitalia/”